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Sul mestiere di scrivere di scienza, da freelance, in Italia

Quattro chiacchiere via mail con i membri di Science Writers in Italy, sul mestiere di scrivere di scienza, da freelance, in Italia.

Questo documento nasce da uno scambio di email, avvenuto a giugno 2013, sulla mailing list dell’associazione Science Writers in Milan, in Italy (SWIM).

Le risposte raccolte sono arrivate a una serie di domande, abbastanza generiche (Qual è la situazione italiana? Come funziona? Come ci si muove?) relative allo scrivere di scienza, da freelance.

Le risposte sono pubblicate praticamente “tal quali”, con piccole correzioni o modifiche di forma, e non nell’ordine cronologico in cui sono arrivate, ma seguendo una divisione per argomenti, e, quando possibile, una sequenza logica.

Science Writers in Milan, in Italy (SWIM) si prefigge lo scopo di riunire professionisti del giornalismo scientifico, della comunicazione e della divulgazione scientifica, per facilitare la crescita di ciascuno e della professione. Per questo, riteniamo che le informazioni, le idee, le riflessioni scaturite da questa discussione possono essere un utile strumento per chi si avvicina al mondo della comunicazione scientifica, o per chi già ne fa parte.

Hanno contribuito:

Silvia Bencivelli, Americo Bonanni, Paola Emilia Cicerone, Moreno Colaiacovo, Marco Ferrari Barbara Gallavotti, Beatrice Mautino, Riccardo Oldani, Daniela Ovadia, Jacopo Pasotti, Cristina Serra

Il documento – scaricabile in pdf – è stato compilato da Marco Affronte

Dal momento che i messaggi scambiati attraverso la mailing list dell’associazione sono riservati agli aderenti al gruppo SWIM-SWITY (Sciencewriters in Milan – in Italy), tutti i partecipanti alla discussione hanno dato esplicita autorizzazione alla pubblicazione dei loro contributi. page2image14560 page2image14720

Strategie

La strategia che quasi sempre paga (non solo in senso metaforico, per fortuna) è quella di proporsi, proporsi e ancora proporsi. E’ importante creare una buona rete di contatti e tenerli vivi, anche dal punto di vista umano. Rapportarsi con i potenziali committenti con correttezza e rispetto, nella diversità di opinioni, e con fermezza nelle scelte. Fermezza nel senso di rimanere saldi nelle proprie convinzioni e non accettare di scrivere contro ad esse, anche se questo può rivelarsi controproducente (leggi, perdere l’incarico). Puntualita’ nella consegna e osservanza delle regole editoriali sono molto graditi.

Freelance-you-better-swim-sciencewriters-itInoltre, fermezza nel proprio linguaggio e stile, per esempio in fase di revisione del pezzo; sono bene accetti suggerimenti in caso di inesattezze, ma non sullo stile e la forma.
E’ produttivo anche impegnarsi in diversi generi di comunicazione: dalla carta stampata, alla radio, al web, alla moderazione di tavole rotonde o gestione di uffici stampa. Sono tutti bagagli culturali che, una volta acquisiti, garantiscono una produttiva osmosi fra loro. (C. Serra)

E’ anche vero che, per quanto farsi snaturare i pezzi sia fastidioso, alcuni giornali (per esempio molti periodici femminili ma anche l’Espresso) hanno uno stile loro in cui è difficile “entrare” da subito: in casi come questi la correzione non è un giudizio negativo ma una prassi che non pregiudica affatto ulteriori collaborazioni( in caso di dubbio può essere utile chiedere cosa non andasse nel pezzo). (P. E. Cicerone)

Mai mandare alla redazione di un giornale pezzi già scritti. Gli articoli vanno concordati sempre prima. Si mandano le proposte al caposervizio e si aspetta la sua risposta. Cioè un via libera, con spazi e tempi precisi, per i pezzi che sono stati (eventualmente) presi. (S. Bencivelli)

La maggior parte dei giornali seri paga tutto il pubblicato, ma solo quello. Per farsi pagare cose non pubblicate, bisogna avere molta forza contrattuale, alla quale si arriva dopo anni di collaborazione. Se però si collabora con un giornale che tende a chiedere e a non pagare il consiglio è di mollarlo. (P. E. Cicerone)

Se si riceve una proposta per un articolo decisamente fuori dalle nostre corde, meglio rifiutare piuttosto che scrivere una cosa fuori tono (col rischio di farsi escludere da future collaborazioni). O magari dire diplomaticamente al committente che non vi sentite portati a una scrittura leggera (se questo è il caso): nella maggior parte dei casi il vostro interlocutore lo sa, che vi sta chiedendo un articolo “frivolo”, ma non ha voglia di sentirselo dire. Però pensateci sopra, potreste rendervi conto che scrivere di frivolezze è piacevole e che si può farlo in modo intelligente.

Non c’è niente di male a scrivere articoli “leggeri” purché siano riconosciuti e riconoscibili come tali, da entrambe le parti. (P. E. Cicerone)

Per entrare in una rivista mensile il percorso, specie adesso, è lungo e complesso. Sarebbe meglio avere un minimo di materiale già fatto, anche solo sotto forma di post sui blog o notizie “locali”. Poi ci si presenta non come giornalista tutto fare; ad esempio se sei un esperto di cetacei, fauna marina ed ecosistemi batiali, meglio farlo notare subito, perché oltre alle tue proposte potresti anche venire buono quando c’è un dubbio, una consulenza, un chiarimento (vedi paragrafo “specializzarsi o no?”).

Poi potresti anche proporre cose tue, dalle notizie come quelle che vanno su Le Scienze – o Focus – a brevi articoli a pezzi da mettere sul web. Da lì all’articolo sulla rivista il passo è comunque lungo e aleatorio, ma non ci sono altre strade percorribili. In ogni caso, non è facile, per niente, entrare nelle riviste. (M. Ferrari)

Può essere molto utile curare bene un blog personale, scrivendo bene di argomenti abbastanza specifici; in questo modo è possibile avere qualche possibilità di essere contattato da giornali/riviste. Ci sono casi eclatanti di persone con talento (per esempio Lisa Signorile) che si sono fatte conoscere proprio grazie a un blog “specialistico”. (M. Colaiacovo)

Specializzarsi o no?

La specializzazione di un freelance può non essere necessariamente tematica ma piuttosto legata al media o al pubblico a cui si mira. Ad esempio, ci si può specializzare ad avere a che fare con una certa fascia di età, tipo i liceali degli ultimi anni piuttosto che con i bimbi piccoli, o a lavorare per la radio piuttosto che per i giornali.

Mentre alcuni freelance preferiscono avere una specializzazione tematica più vaga e di essere il più versatilipossibile,perpotersiproporreinmanierapiùampia. (S.Bencivelli)

La specializzazione non dev’essere troppo settoriale, altrimenti si chiudono troppe possibilità di collaborazione. Bisogna piuttosto sviluppare un linguaggio e un sistema di lavoro che consenta di spaziare su vari ambiti della scienza e, soprattutto, scrivere in modo chiaro e semplice su un ampio ventaglio di temi. Le redazioni cercano persone che siano in grado di risolvere loro situazioni su un ampio spettro di argomenti sposando il loro linguaggio e il loro modo di fare divulgazione.

Il suggerimento dunque non è tanto di iperspecializzarsi su un tema e poi battere a tappeto tutti i giornali d’Italia per proporre la propria iperspecializzazione. Piuttosto meglio chiedersi: su quale giornale o su quali giornali vorrei scrivere? Come propone la scienza questo giornale? Quale linguaggio usa? A quel punto si elaborano delle proposte, legate chiaramente ai temi che ci sono più famigliari, ma improntate al taglio di quella rivista.

Se il gioco riesce, e si trova interesse dall’altra parte, è importante fare al meglio il primo pezzo o i primi pezzi. Se si fa breccia la collaborazione può decollare. L’importante è arrivare al punto in cui non sei più tu che fai le proposte, ma è il giornale che ti interpella automaticamente per chiederti nuovi pezzi. E questo non può succedere perché scrivi ad esempio solo di delfini, perché pezzi sui delfini un mensile di divulgazione ne fa uno all’anno se va bene. Questo può succedere solo se la redazione riscontra negli articoli una qualità nella scrittura, la corretta interpretazione delle fonti, la capacità di intervistare più persone, e soprattutto le persone giuste, di consegnare nei tempi e nelle lunghezze di testo richieste e, sempre di più, la capacità di dare indicazioni e suggerimenti sulla ricerca iconografica (vedi paragrafo Ricerca iconografica). Se si mostrano queste capacità e questa disponibilità con i primi pezzi, ci sono buone possibilità che di venire interpellati anche per altre cose, magari vicine o collaterali al tema sviluppato con i primi articoli. È importante allargare piano piano i temi per cui si viene coinvolti, perché se ci si qualifica ad esempio come esperti di fauna bentonica e un redattore un giorno ha bisogno di un pezzo sulla flora alpina, se poi si rifiuta ci si preclude future collaborazioni.

Questo non vuol dire essere dei tuttologi, anzi i redattori possono diffidare dei tanti so-tutto-io che si trovano in giro. Però ad esempio specializzarsi sulla tecnologia vuol dire essere capaci di scrivere di robotica come di monitoraggio ambientale, di nuovi materiali come di esplorazioni spaziali. Signfica usare il linguaggio richiesto dal giornale che ci interpella ed essere sufficientemente esperti per capire dell’argomento che si sta sviluppando e non compiere passi falsi. Dopodiché saranno semmai gli esperti intervistati o gli studi compiuti per documentarsi a fornire le informazioni fondamentali, specifiche, da elaborare e disporre correttamente nell’articolo.

Questo lavoro va fatto per ogni periodico con cui si intende collaborare. Se si scrive per esempio per Focus e si decide di provare a collaborare anche con L’Espresso su temi legati alla scienza, non si manderà mai a L’Espresso le proposte “impostate” per Focus, ma si dovrà tararle e tagliarle specificamente su quel giornale. È questa la difficoltà principale del nostro lavoro: riuscire a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda dei periodici o delle redazioni con cui si collabora. Di solito, quando ci si riesce cambia il direttore e devi ricominciare tutto da capo. (R. Oldani)

La specializzazione ovviamente non deve essere millimetrica, e soprattutto deve essere legata alla comunicazione di quei temi e non analoga a quella di un ricercatore. È fondamentale sapere quali domande fare, non conoscere in anticipo le risposte. (B. Gallavotti)

Forse tra iper-specializzazione e scrivere di tutto sarebbe bene stare nel giusto mezzo. Il segreto è essere “quello che chiamano quando c’è da scrivere di..” ma far capire che si scrive anche di altro, seguendo le associazioni mentali dei caporedattori. Se si viene rubricati come “animali e ambiente”, per esempio, è improbabile che poi si venga contattati per un pezzo di tecnologia mentre si può essere chiamati a scrivere di alluvioni. (P. E. Cicerone)

D’altro canto c’è chi preferisce scrivere su tutto, da temi che spaziano dall’archeologia alla fisica per geek estremi. E questo su ogni possibile “supporto”, dalla carta alla tv, alle mostre agli eventi in pubblico.
In qualche caso può essere la soluzione migliore per permettere a un freelance di sopravvivere. Ovviamente acquisire le competenze giuste è un processo lungo e senza fine. La cosa migliore può essere partire da una specializzazione e poi aggiungerne altre via via.

Il segreto non è sapere tutto di tutto ma sapere sempre quali esperti contattare per farsi spiegare le cose.
E’ anche vero che il modello “tipo Piero Angela” cioè scrivo di tutto su tutto, è una peculiarità italica e all’estero è molto meno diffuso. In altri Paesi i giornalisti tendevano ad essere molto specializzati, oggi lo sono meno, soprattutto perché avere a che fare con persone che possono scrivere di più e su più fronti consente agli editori di risparmiare sul costo degli articoli. Dal punto di vista di chi scrive, essere molto versatile consente di sviluppare più capacità di fare connessioni orizzontali, ed è molto stimolante, ma naturalmente più impegnativo. (B. Gallavotti)

È vero però che l’iper-specializzazione tende a ridursi anche all’estero. Il giornalismo soffre a livello globale e i giornalisti si moltiplicano. (R. Oldani)

In effetti, trovare gli esperti giusti è il segreto del giornalismo; ora con Google è tutto più facile, e gli esperti “amici” servono più a dare idee e segnalare temi che a dare risposte al momento opportuno… Una volta invece l’agenda era indispensabile.
Dipende anche dai media in cui si lavora. Chi nasce ad esempio come giornalista scientifico su un quotidiano, dove parlare di scienza vuol dire parlare di catastrofi assortite (uragano, terremoti, guerra batteriologica e nucleare, epidemie), può poi pian piano acquisire contatti e altre collaborazioni e così riuscire a far “pesare” di più le proprie passioni. (P. E. Cicerone)

Eppure, vedendo le cose dall’altra parte della barricata, l’iperspecializzazione potrebbe essere una scelta vincente. Probabilmente un direttore di giornale vorrebbe che chi scrive per lui avesse una conoscenza più o meno approfondita dell’argomento. Perché forse è vero che con una mente brillante e una buona preparazione si può affrontare qualsiasi argomento (concezione italiana del giornalismo – non solo di quello scientifico), ma è anche vero che quello che propone la “mente brillante”, lo possono proporre mille altre freelance dalla scrittura brillante e la mente aperta. Se invece tu sei, ad esempio, esperto di delfini, il suddetto direttore si aspetta invece che tu possa fare un grandioso articolo sui cetacei odontoceti, uno ottimo sulla biologia marina e un bellissimo pezzo sull’ecologia, l’etologia, l’intelligenza e la coscienza animale, l’inquinamento, l’effetto serra e tante altre cose che hanno a che fare tangenzialmente con i simpatici abitanti del mare. Con esperti, notizie, collegamenti e strane “svolte” nel pensiero che un altro giornalista senza la tua preparazione non può fare, pur con tutta la sua buona volontà. Perché tu conosci il pescatore di trepang del sud est asiatico e parti con quella storia, perché hai fatto un viaggio col baleniere norvegese eccetera eccetera. Il tuttologo fa un pezzo di tuttologia. Perfetto e in buon italiano, ma senza ganci per una bella apertura o una bella intervista che non sia all’esperto che hanno tutti visto in televisione. Se ti specializzi su una cosa, chi ti chiama è sicuro – specie in questi momenti di fretta e redazioni all’osso – che gli darai un pezzo professionale e lontanissimo dal banale. Questo non vuol dire che un esperto di qualcosa scriva solo di quel qualcosa, ma che il suo nome viene in mente quando ci sono argomenti che anche solo da lontano hanno a che fare con la tua expertise. (M. Ferrari)

Ricerca iconografica

Sempre più spesso le redazioni ti chiedono, oltre all’articolo, anche delle indicazioni su come illustrarlo. Qui le strade sono essenzialmente due.

Con il copyright si dovrà muovere sempre ed esclusivamente la redazione, quindi il freelance potrà fare essenzialmente due cose: individuare se ci sono risorse fotografiche online su un determinato argomento chiedendo direttamente agli interessati. Trovata la fonte sul web si segnala alla redazione e a quel punto photo editor o grafici fanno le loro scelte e chiedono direttamente il materiale.

A volte, certe strutture (magari sono aziende se si parla per esempio di robotica, di energie rinnovabili, di auto elettriche e quant’altro) hanno kit fotografici già pronti e scaricabili dalla sezione press dei loro siti e allora può essere utile scaricare le immagini e mandarle con un wetransfer al redattore con cui interloquiamo per il pezzo.

Questa operazione è da fare, naturalmente, soltanto se la redazione chiede consigli per le immagini, non di propria iniziativa perché poi se mandi 200 mega di roba a qualcuno questo si può anche scocciare.
Per il copyright quindi non ci sono santi: o le foto sono messe a disposizione per la stampa “free”, e allora ci si può prendere l’iniziativa di mandarle alle redazioni, oppure bisogna limitarsi a suggerire i soggetti e poi lasciare alle redazioni il compito di sbrigarsela loro con i fotografi per trattare i compensi. (R. Oldani)

C’è da aggiungere che sempre più spesso non è solo “importante” fornire indicazioni sul materiale fotografico per illustrare la storia che si propone, ma anzi, al contrario, si mostrano delle immagini e se queste piacciono ti chiedono quale storia ci sta intorno. La logica è simile alla strategia comunicativa suggerita da Facebook, ovvero prediligere l’immagine rispetto al testo. In un ambiente molto competitivo le immagini non devono essere illustrative di una storia, ma, secondo le parole di una fotoeditor: “devono raccontare una storia a sè”. L’immagine vende meglio e di più; e molte storie importanti, perfino preoccupanti, rimangono lì solo per assenza di immagini (forti). (J. Pasotti)

In generale

La situazione italiana non è molto allegra. Siamo pagati poco, dobbiamo sbatterci molto e oggi delle riviste di scienza che erano aperte dieci anni fa ne rimangono poche: in edicola c’erano Quark, Newton, La macchina del tempo, Darwin… oggi non è più così.

C’è tanto web, per cui però non esiste ancora un modello imprenditoriale sensato capace (sempre) di farci su i soldi e di permettere al materiale online di essere autosufficiente.
Insomma: lo stesso giornale che su carta paga una miseria, su web paga la metà di quella miseria. Altri spazi (quelli istituzionali, per esempio, che dieci anni fa erano pronti ad assorbire gente ed erano molto dinamici) oggi sono quasi saturi. E capita anche di restare a spasso. (S. Bencivelli)

La parola d’ordine è flessibilità, flessibilità da contorsionisti (purtroppo anche nei guadagni).
Non ti puoi mai sentire al sicuro. Calcoli le collaborazioni, ci hai messo un incarico di altro tipo, magari due, che so, ti rilassi. E poi nello spazio di due mesi ti chiudono due giornali, un altro non ti cerca più perché hai litigato e finisce pure un progetto di ricerca… (A. Bonanni)

Un free lance “sui generis” può essere un po’ giornalista, un po’ docente (in università e nelle scuole), un po’ esperto di comunicazione (media training), un po’ consulente per la comunicazione, magari addetto stampa… Poi ci sono i libri, i blog.
Insomma, è il bello e il brutto di questo mestiere. Fai un sacco di cose, tutte più o meno intorno al tuo centro di interesse, ma il motto è proprio “flessibilità”.

Il nostro lavoro non è “categorizzabile”. (D. Ovadia)

C’è poi tutto il mondo magmatico e sempre più grosso delle mostre e degli eventi scientifici e che può essere un bello sbocco per chi fa un percorso di formazione in comunicazione scientifica. Sembrano lavori diversi, quello del giornalista e quello del comunicatore, ma forse non c’è poi tutta ‘sta differenza. Se scrivi un pezzo o un progetto per una mostra fai gli stessi ragionamenti e usi, magari, lo stesso approccio. Poi cambiano il mezzo, lo stile, i tempi, ecc. ma le basi son quelle.

Ma anche quelle delle mostre è un mondo difficile, forse anche più difficile di quello dei giornali. C’è molto mercato, ma ci sono poche strutture in grado di soddisfarlo (una mostra tipo Homo sapiens è un carrozzone che si mangia un milione/un milione e mezzo di euro quindi servono strutture molto grandi che in Italia di certo non abbondano).

Se si hanno idee per mostre piccole/medie, si può provare a proporre l’idea (cioè un testo che la descriva in maniera generale e qualche spunto un po’ più specifico sulle cose che si vuol far vedere) a chi potrebbe ospitarla o produrla, quindi musei (il Museo di Scienze Naturali di Torino, il nuovo Muse di Trento, ecc) o società/istituzioni (Codice, CentroScienza, SissaMedialab…)

Oppure, se si riesce a trovare uno sponsor per prodursela da soli, e poi iniziare a farsi conoscere girando per Festival e manifestazioni a carattere scientifico. (B. Mautino)

In effetti, le leggi della comunicazione sono quelle, e saper scrivere un articolo efficace aiuta anche a impostare una mostra, un catalogo (anche un comunicato stampa se si pensa di prendere la direzione della comunicazione istituzionale o aziendale). Una formazione comunicativa ben fatta offre molti sbocchi che non sono giornalismo vero e proprio ma possono dare soddisfazione (e lavoro, il che non guasta). Troppo spesso capitano studenti che vogliono scrivere su una cosa come “Le Scienze” e ci restano un po’ male quando si rendono conto che questo mercato è forzatamente un po’ ridotto, e invece si può fare altro. (P. E. Cicerone)

Occuparsi di quasi tutto è una buona chiave. E poi, oltre ad aumentare le possibilità, e non solo nello scrivere ma nel trovare incarichi anche inaspettati, tiene sveglio il cervello, e secondo me ti diverti di più. (A. Bonanni)

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