Trent’anni fa, quando sono nate le prime pagine dedicate alla scienza, c’erano autorevoli maestri. Oggi è necessario districarsi tra fonti attendibili e senza conflitto d’interessi
Difficile oggi per un giornalista scientifico districarsi tra nuove idee e marketing, tra vere scoperte e false partenze. C’è chi ritiene, non a torto, che da quando gli scienziati sono usciti dal chiuso dei loro laboratori accademici per diventare imprenditori, le possibilità di una comunicazione oggettiva e trasparente al pubblico su temi come sicurezza alimentare, OGM, ambiente, energia nucleare, riscaldamento globale, nuove terapie, biomedicina, si sia trasformata in un compito arduo. Le trappole di cui è costellato il percorso che introduce/descrive/propone una notizia scientifica sono rappresentate dalle profonde implicazioni economiche, politiche e sociali della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
L’interpenetrazione tra scienza e società è un dato di fatto ineliminabile. E l’interazione tra ciò che i ricercatori vanno scoprendo nei laboratori e ciò che questo comporta nella vita di ciascuno di noi, nelle scelte individuali e non, e nella cultura, dovrebbe far riflettere sulla speciale responsabilità di chi fa informazione scientifica attraverso i mass media.
Esiste un’etica della comunicazione. Non solo quando si elargiscono notizie che riguardano la salute, ma anche quando si discutono temi controversi (come l’energia nucleare o la fecondazione assistita) che coinvolgono la vita di noi tutti oggi e quella delle generazioni future. D’obbligo sarebbe sorvegliare su qualità, correttezza, equilibrio, e accuratezza dell’informazione, senza farsi condizionare da idee preconcette. Contribuire al senso critico non significa essere “contro” la scienza.
Per lo scienziato l’ansia di comunicare, di uscire allo scoperto e rendere pubblici i suoi risultati è diventata pressante: significa contribuire “alla costruzione di un consenso razionale il più vasto possibile” (Ziman). Serve anche a promuovere il suo lavoro: rendere pubblico ciò che la ricerca va scoprendo è oggi parte integrante della responsabilità di uno scienziato. Non c’è scienza se non c’è comunicazione della scienza (Goodhall). L’istituzione fondamentale della scienza è, sostengono in molti, il sistema di comunicazione che conferisce una forte dinamica al processo scientifico, contribuendo all’evoluzione stessa della scienza.
Ma se i ricercatori sono spesso spinti nell’anticipare e nel divulgare i loro risultati (veri/preliminari/ enfatizzati…) da interessi, pressioni e carriere che nulla hanno a che vedere con l’informazione o con la rappresentazione sociale che la gente si è fatta della scienza, i giornalisti fanno sempre più fatica a reperire fonti attendibili senza conflitti di interesse. Il percorso da compiere sembra essere oggi, per chi si accinge a fare giornalismo scientifico, particolarmente complesso e accidentato. Nelle redazioni i giornalisti specializzati, che trent’anni fa quando sono nate le prime pagine dedicate alla scienza, avevano autorevoli “maestri”, ora fanno fatica a difendere la loro professionalità. All’autorevolezza e all’attendibilità si privilegiano spesso clamore e sensazionalismo. Più che accrescere il cosiddetto “public understanding of science” si preferisce fare appello alle forti emozioni, come nei talk show televisivi. Le tensioni tra editori e giornalisti della carta stampata (e non) sono evidenti, ma può darsi che un aiuto (si dovranno pur confrontare con la multimedialità e la crossmedialità) possa venire da narrazioni alternative della scienza prodotte su blog, siti web, e social network di cittadini, consumatori, gruppi di interesse. Cambieranno le dinamiche di controllo e di comunicazione. Il pubblico, forse qualcuno non se n’è ancora accorto, sta acquisendo strumenti nuovi, competenze che lo aiutano a orientarsi, ad andare oltre lo stupore, a interpretare le notizie e capire.
Il giornalismo scientifico non è a un capolinea. Anzi, si sta rinnovando, come è emerso da un simposio al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, organizzato dalla Knight Science Journalism Fellowships.
Sono ancora in molti a credere che senza una comunicazione pubblica della scienza non ci possa essere una vera società democratica della conoscenza. Informare in modo corretto, che sia scienza, politica, economia, rappresenta un esercizio di democrazia.
Gianna Milano ha compiuto i suoi studi all’Università L. Bocconi. Si è specializzata in giornalismo scientifico all’Università di New York e al Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove ha frequentato la Knight Science Journalism Fellowships. Al settimanale Panorama per oltre vent’anni si è occupata, prima come inviato poi come caporedattore, di divulgazione medica e scientifica. Oggi lavora come freelance per diverse testate.
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